MILANO — E’ salito anche lunedì, portando al 2,3% il guadagno (in conto capitale) realizzato in sole quattro sedute di Borsa. Chi ha comprato mercoledì e venduto lunedì sera, si è portato a casa 2,3 euro in più per ogni 100 euro investiti. Niente male in tempi di crisi e di Bot «a tasso zero». Eppure è successo, ed è successo proprio a un titolo di Stato.
E’ il Btp a 30 anni, protagonista lo scorso 9 settembre di un’affollatissima emissione: 6 miliardi offerti dal Tesoro, 10 miliardi circa richiesti dal mercato. Chi ha comprato, lo ha fatto sapendo che, se oggi ha 40 anni, ne avrà almeno 70 il giorno in cui lo Stato gli rimborserà il capitale. A meno che non decida di vendere ante tempo sul mercato, a un prezzo che potrà però essere diverso, molto diverso dal valore di rimborso. E’ la riscossa dei titoli «a lunghissima scadenza», con trent’anni di cedola fissa: un rendimento che per i risparmiatori non cambierà mai fino al 2040. Il Btp scadrà il primo settembre 2040: un anno di asta (il collocamento sarà riaperto più volte nei prossimi dodici mesi) e trenta di cedole.
Tutto fermo per 30 anni, quale che sia l’andamento dei prezzi, quali che siano i tassi di Bce, nuovi Bot, banche e obbligazioni. Se saranno decenni «giapponesi», di inflazione piatta o negativa, e di tassi ai minimi termini, sarà una scommessa vinta. Se, invece, i prezzi torneranno a correre, chi ha comprato mercoledì, non ha venduto lunedì e non lo farà per altri trent’anni, dovrà accontentarsi di un rendimento annuo del 5%. Oggi sembra buono, domani chissà. Dubbi a parte, resta il fatto che per ora il mercato ci crede. Lunedì, in un panorama di Btp abbastanza piatto, il trentennale, il più «lontano » di tutti, si è distinto per essersi portato a casa un nuovo rialzo. Era a 98,186 mercoledì, è salito a 98,95 giovedì, ha sfondato quota 100 venerdì (a 100,44) ed è continuato a crescere ieri, a 100,47, mentre il Tesoro lanciava una nuova emissione a cinque anni.
Evidentemente, gli acquisti hanno continuato a farsi sentire, nonostante l’aumento delle quotazioni dei trentennali e il conseguente effetto negativo sui tassi lordi: il 5,182% per chi ha comprato mercoledì, il 5,031% per chi lo ha fatto ieri. L’asta del 9 era riservata agli investitori istituzionali, che possono aver comprato per se stessi o per i clienti, dalle grandi aziende ai piccoli risparmiatori. Chi ha acquistato può averlo fatto per trading (compro e vendo in fretta, scommettendo su veloci rialzi, come è poi avvenuto). E proprio il trading è «una voce crescente dei guadagni delle banche», commenta Angelo Drusiani, esperto di mercato obbligazionario di Banca Albertini Syz.
Chi, invece, ha comprato guardando davvero a quel lontanissimo primo settembre 2040, lo ha fatto magari pensando ai figli, magari alla pensione. A tutti questi, Drusiani dà un consiglio: investite le cedole che incasserete nel corso degli anni comprando, sul mercato secondario, altri Btp con la stessa scadenza. L’obiettivo: non spendere 10 mila euro oggi per ritrovarsi in tasca 10 mila euro nel 2040. La paura: l’inflazione. Il fatto storico: cinque milioni di vecchie lire nel 1970 erano una cosa, nel 2000 un’altra. Lunedì, intanto, è stata anche la giornata del debutto per i «future» sui Btp, lanciati sull’Eurex. E il contratto a 10 anni, dopo una mattinata in sordina, alla fine è andato meglio delle attese, con volumi di scambio superiori alle previsioni. Ma scambi decisamente più importanti sono stati movimentati dai future sui Bund, i titoli di Stato tedeschi.
Fonte: Corriere.it