Siamo prossimi ad un nuovo peggioramento della crisi, in cui il «buco nero» della finanza rischia di risucchiare tutto e tutti. ALERT: lettura non consigliata agli ottimisti e ai deboli di carattere.
*Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. (WSI) – L’amministrazione Obama è al lavoro per varare un nuovo pacchetto di misure per salvare il sistema bancario americano.
In un’audizione davanti al Senato l’ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, ha detto che «il sistema bancario americano è rotto e che la recessione in cui versa il paese è molto grave». Nella stessa audizione il segretario al Tesoro designato Timothy Gaithner ha precisato che l’Amministrazione Obama sta studiando il progetto di un piano di salvataggio delle banche che prevede una radicale revisione dei meccanismi di funzionamento del Tarp (Troubled Asset Relief Program) varato dalla precedente amministrazione Bush.
I mercati finanziari stanno cominciando a prendere atto dello stato di insolvenza del sistema bancario internazionale. Stanno anche iniziando a scontare l’ineludibile prospettiva di altre centinaia di migliaia di dollari che spenderanno gli Stati per evitare la bancarotta dei grandi istituti di credito internazionali. Questa presa di consapevolezza, che sta maturando con grande ritardo, è confermata dall’andamento dei titoli bancari, il cui indice negli Stati Uniti ha toccato i minimi degli ultimi 14 anni. L’aspettativa di una nazionalizzazione di fatto delle grandi banche americane è confermata dal crollo registrato anche dalle obbligazioni convertibili.
L’allarme non si limita però al settore bancario, ma comincia ad intaccare la credibilità dei titoli di Stato. Infatti, martedì scorso è sceso il valore delle obbligazioni che i Governi emettono per finanziare i loro debiti pubblici. È pure salito l’oro che appare la vera alternativa alle monete e soprattutto ha perso ulteriormente terreno la sterlina britannica dopo che il primo ministro Gordon Brown aveva annunciato lunedì scorso il pacchetto di salvataggio delle banche, che prevede una forma di assicurazione sui titoli tossici ancora detenuti dagli istituti di credito, la modifica dei loro requisiti minimi di capitale per non far emergere lo stato di insolvenza e il via libera alla Banca d’Inghilterra a seguire le orme della Federal Reserve americana, cominciando a stampare moneta.
La caduta della sterlina induce a prevedere che la Gran Bretagna, già fortemente indebitata con l’estero, rischia di essere il primo Paese a mettere in mostra quali possono essere le conseguenze della scelta di far esplodere i disavanzi pubblici e di stampare moneta per salvare un sistema bancario irrimediabilmente fallito.
È oramai chiaro che la nuova amministrazione Obama sarà costretta nei prossimi giorni a presentare un nuovo piano di salvataggio delle banche. In discussione vi sono due varianti. La prima è un’assicurazione statale sui titoli tossici detenuti dalle banche. La seconda è la creazione di una «bad bank», che acquisterebbe i titoli tossici delle banche e che verrebbe capitalizzata grazie alle risorse della seconda tranche del Tarp (il pacchetto salvabanche dell’amministrazione Bush). Ambedue le ipotesi prevedono comunque un’iniezione di soldi pubblici e addirittura la nazionalizzazione delle banche che versano nelle peggiori condizioni.
Queste nuove misure, come già accaduto con i piani precedenti, daranno un temporaneo sospiro di sollievo, ma non risolveranno la crisi. I motivi sono semplici. In primo luogo vi è la cruciale questione della determinazione del prezzo di questi titoli, che è di grande importanza sia nell’ipotesi dell’assicurazione sia in quella della creazione di una banca che raccolga la spazzatura prodotta in questi anni dal settore finanziario. La questione non si ferma ai titoli tossici: vi è infatti da stabilire anche a chi resterà il cerino dei diversi strumenti derivati, a partire dai Credit Default Swap, che gravano sui bilanci delle banche: verrebbero assicurati o trasferiti alla bad bank oppure resterebbero nei bilanci delle banche?
In terzo luogo, questa operazione non risolverebbe i problemi di capitale delle banche. Infatti le banche dovrebbero immediatamente iscrivere a bilancio le perdite dovute alla differenza tra il prezzo di vendita alla bad bank e il prezzo al quale li hanno finora contabilizzati. Nel caso dell’assicurazione del loro valore da parte dello Stato dovrebbero, se venisse seguito l’esempio inglese, denunciare una perdita minima del 10%. Il problema della solvibilità del sistema bancario non verrebbe sostanzialmente migliorato e lo Stato dovrebbe cambiare i requisiti minimi di capitale, come ha fatto la Gran Bretagna, e/o dovrebbe in ogni caso ancora intervenire per ricapitalizzare le banche.
In quarto luogo le attività «tossiche» delle banche stanno rapidamente aumentando a causa della crisi economica. L’economista americano Nouriel Roubini prevede che le sofferenze (di tipo tradizionale) del sistema bancario statunitense dovute alla crisi economica si aggireranno quest’anno attorno ai 1.600 miliardi di dollari. A queste si devono aggiungere le perdite originate dai titoli tossici e dai vari strumenti della nuova ingegneria finanziaria. Il settore bancario, anche sgravato dai titoli tossici, continuerebbe ad avere enormi problemi di solvibilità e di liquidità, poiché continua a diminuire la sua capacità di generare reddito per coprire il crescere delle insolvenze.
Date queste condizioni è altamente improbabile che le banche americane riprendano ad erogare credito e che contribuiscano al rilancio dell’economia. Appare infatti sempre più chiaro che questa attività potrà essere assolta unicamente dagli istituti che non sono stati travolti dalla crisi, da banche costruite ex novo allo scopo e aiutate dallo Stato e dalle banche centrali. È quanto sta già in parte avvenendo negli Stati Uniti con la trasformazione della Federal Reserve nella maggiore banca commerciale americana.
Ma vi è un ultimo punto, che è il più importante. Quali saranno le conseguenze economiche di questi salvataggi? La questione, che si cerca di eludere, non è chi pagherà il costo di questi interventi (è evidente che le perdite accumulate dalle banche in questi anni ricadranno sulle spalle dei contribuenti dei diversi Paesi), ma quali saranno le conseguenze economiche di questi salvataggi.
La questione può essere posta così: l’esplosione dei disavanzi pubblici incrinerà la fiducia dei risparmiatori nei titoli con cui gli Stati si finanziano? E poi, soprattutto nei Paesi indebitati con l’estero, come Gran Bretagna e Stati Uniti, l’esplosione dei debiti pubblici e la continua stampa di moneta non incrineranno la fiducia nel valore delle monete nazionali?
Quanto sta avvenendo in questi giorni in Gran Bretagna fa temere che queste preoccupazioni siano già molto diffuse e che quindi ci si stia già avvicinando a pericolosi punti di rottura. Tutto ciò induce a ritenere che siamo prossimi ad un nuovo peggioramento della crisi, in cui il «buco nero» della finanza rischia di risucchiare tutto e tutti e di allontanare ulteriormente l’uscita dal tunnel imboccato nell’agosto del 2007 con lo scoppio della crisi dei mutui ipotecari subprime.
Alfonso Tour
Fonte: Corriere del Ticino