I dati Confcommercio-Censis sulla situazione dell’impresa italiana negli ultimi cinque anni sono impietosi. Ufficialmente sono 205mila gli imprenditori che hanno dovuto chiudere i battenti delle proprie attività a causa della crisi economica, fenomeno che ha significato ondate di licenziamenti, precarietà, impoverimento della popolazione e, in casi estremi, azioni avventate: il numero degli imprenditori che si sono tolti la vita, o hanno solo cercato di farlo, ha assunto proporzioni disastrose. La recessione economica ha significato anche questo in Italia, dove nonostante tutto anche nel settore dell’impresa sono le donne ad arrendersi per ultime.
Nell’ultimo lustro, il peso della componente rosa nell’impresa nostrana è passata dal 29,8% del 2009 al 30,1% del 2013. Le donne sono ancora in inferiorità numerica, eppure rispetto ai colleghi maschi hanno dimostrato più vitalità. Nonostante i dati incoraggianti, le imprese rosa devono fare i conti con un sistema che, in modo anacronistico, non si fida ancora di loro: al contrario di quanto avviene con i colleghi maschi, le banche non si fidano delle donne. Almeno questo è quanto emerge dallo studio dell’Osservatorio credito Confcommercio, che dichiara come “il 62,4% delle donne imprenditrici non ottiene il prestito o lo ottiene in misura inferiore a quello richiesto. Il 60% delle imprese del terziario femminili giudica peggiorato il costo dei servizi bancari nel complesso. A differenza di quanto registrato per quasi tutti gli indicatori economici, la situazione in questo caso appare decisamente più preoccupante per il segmento delle imprese di genere, confermando le maggiori difficoltà delle stesse nel rapporto con gli istituti di credito.”
Nonostante le difficoltà, l’impresa rosa italiana continua a crescere: dal 2010 risultano iscritte nel registro delle imprese ben 281mila nuove attività guidate da donne, il 76% delle quali nel settore terziario che continua a essere il prediletto dal gentil sesso.