Sono bastati sei mesi al Centro Studi della Confindustria per rivedere al ribasso le stime di crescita dell’economia italiana e in particolare del Pil. Se infatti nello scorso dicembre le previsioni erano di un aumento pari all’1,1%, ora si attestano soltanto allo 0,9%.
E senza riforme strutturali, come più volte anche evocato da Emma Marcegaglia, la tendenza sarà ancora più verso la crescita zero, ossia vicino allo 0,6%.
In pratica sarebbe una sconfessione della manovra complessiva indicata dal governo in 39 miliardi di euro e che a questo punto sarebbe comunque insufficiente per ridare vigore ad un’economia italiana stagnante. Ne servirebbero ancora quasi la metà, ossia almeno 18 miliardi, per ottenere una crescita almeno pari ad un altro 1%. Nel rapporto in particolare si sottolinea come “sia fondamentale abbattere deficit e debito perché altrimenti verrebbero subito a mancare le risorse per pareggiare il bilancio così come il consenso sociale all’azione governativa”.
In particolare Confindustria indica le priorità da seguire: anzitutto semplificazione e meno spazio alla burocrazia, spazio alle liberalizzazioni e alla realizzazione delle opere pubbliche fondamentali per la crescita, contrasto all’evasione reale, riforme fiscali che mettano meno pressione sui redditi da lavoro e impresa e lo carichino su altri guadagni e consumi.
I dati messi sul piatto dal Centro Studi della Confindustria parlano chiaro: il Pil italiano è cresciuto del 4,4% in meno rispetto alla Germania e del 2,8 in meno rispetto alla Francia, economie trainanti nell’Unione Europea. E certo a rasserenare le prospettive non contribuiscono le prospettive future dei posti di lavoro: dal primo trimestre 2008 allo stesso periodo di quest’anno infatti ben 582mila persone hanno perso il loro posto mentre la diminuzione della domanda di lavoro ne ha coinvolte addirittura 1,1 milioni.
Nel rapporto di Confindustria sono evidenti anche gli oneri che pesano dei conti delle famiglie italiane, causati soprattutto dall’aumento del petrolio e dei tassi. Ogni famiglia nel 2011 spenderà in più una media di 681 euro per il consumo energetico e i nuclei familiari che hanno il mutuo a tassi variabili pagheranno 2,2 miliardi in più di oneri passivi. Inoltre a pesare sui conti italiani sono anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici, di molto superiori a chi lavori nel privato: dal 1980 al 2009 “gli stipendi pubblici sono saliti in termini reali del 43,9% contro il 26,9% di quelli privati. Così un dipendente pubblico in media guadagna quasi 8.900 euro all’anno in più del collega privato”.