Sono dati allarmanti quelli comunicati dall’Istat e presentati ieri mattina alla Camera nel consueto rapporto ‘La situazione del Paese nel 2010’. In particolare nell’ultimo decennio l’Italia ha realizzato il peggior risultato in assoluto per quello che riguarda la crescita tra tutti i Paesi dell’Unione Europea con numeri che fanno essere pessimisti anche sul futuro.
In particolare è emerso che le famiglie italiane, per mantenere i consumi invariati, hanno puntato al taglio sui risparmi che nel 2010 hanno rappresentato solo il 9,1% della cifra complessiva, un dato che non si registrava in maniera così negativa dal 1990 e che è ben al di sotto delle altre economie presenti nell’Eurozona. Se è vero che l’attuale modesta ripresa ha fatto tornare un minimo di fiducia, quella italiana resta la peggior performance di crescita del decennio con un tasso medio annuo dello 0,2% contro l’1,3% fatto registrare dall’Ue.
In particolare i dati sono poco incoraggianti per quello che riguarda il mondo del lavoro. Nel 2010 sono quasi due milioni quelli che hanno rinunciato definitivamente a cercare un impiego. Tre quarti di loro lo hanno fatto perché convinti di non poter far nulla per poterlo trovare, mentre mezzo milione sta ancora aspettando di ricevere una chiamata. E anche in questo caso i numeri sono al di sopra della media Ue: più del doppio, ad esempio, rispetto alla Spagna, addirittura sei volte rispetto alla Francia.
La crisi occupazionale è pesantissima. Nel biennio 2009-2010 il numero degli occupati è diminuito di 532mila unità, con un’incidenza maggiore nella fascia tra i 15 e i 29 anni, con 501mila lavoratori in meno, mentre in quelli tra i 30 e i 49 anni è di –2,2%. Un calo che si è concentrato molto più sui contratti a tempo pieno, che sono calati di 297mila unità, mentre paradossalmente ma non troppo è salita la quota dei lavoratori atipici che sono stati 34mila in più.
Numeri che ovviamente colpiscono più al Sud dove il tasso di occupazione tra i 15 e i 29 anni è pari solo al 35,7% con punte minime intorno al 30 in Campania e Calabria. Infine ben 800mila donne in gravidanza sono state costrette a lasciare il lavoro perché licenziate o costrette a smettere