Secondo il capo della FRB americana Ben Bernanke la crisi economica starebbe terminando. Certo che a sentire i settecentomila nuovi disoccupati italiani non sembrerebbe proprio cosi. C’è poi un fenomeno che la dice lunga sul fatto che la crisi non è affatto passata e che anzi ha determinato effetti che possono aggravarla. Si tratta del protezionismo, che si è riaffacciato alla ribalta dell’economia, mettendo a rischio il funzionamento del mercato mondiale e preparando il terreno per potenziali guerre commerciali.
Del resto, anche a seguito del crollo di Wall Street nel ‘29, spesso citato come il precedente storico più simile alla crisi attuale, ci fu un generalizzato ricorso al protezionismo, che provocò il ristagno del commercio mondiale, aggravando la sovrapproduzione di capitale e di merci.
Oggi, i maggiori Paesi industrializzati, nonostante le belle parole dette al recente G20 sulla necessità di mantenere aperti i mercati mondiali, agiscono ognuno per conto proprio, arroccandosi a difesa della propria industria.
A tenere banco sulle pagine dei giornali è la guerra commerciale in procinto di scoppiare tra Usa e Cina, a seguito dell’annuncio del presidente Obama di voler aumentare del 30% i dazi sull’importazione degli pneumatici prodotti in Cina, che per ritorsione ha minacciato di elevare le tariffe sulle importazioni statunitensi di pollo e componenti per auto.
Per ora si tratta di misure che, se attuate, non avranno un impatto pesantissimo. Ma è la tendenza in atto a livello mondiale a preoccupare.
Secondo Global Trade Alert (GTA) i governi mondiali hanno pianificato 130 misure classificabili come protezionistiche (aiuti di Stato, innalzamenti delle barriere tariffarie, restrizioni all’immigrazione, sussidi all’export), in quanto falsano il funzionamento del mercato e la libera concorrenza.
Soltanto tra luglio e settembre GTA ha contato 95 nuove misure protezionistiche. La Russia ha pianificato incrementi delle tariffe doganali, il Sud Africa sta cambiando le regole d’acquisto governative per favorire le aziende domestiche, mentre il Giappone sta riscrivendo le regole sanitarie in modo da restringere l’import. Le leggi protezionistiche approvate sorpassano di molte lunghezze quelle liberalizzatrici.
Tutto questo in quadro in cui si prevede che il commercio mondiale cali del 10% nel 2009. Con la diffusione del protezionismo risalta tutta l’inadeguatezza del mercato mondiale capitalistico, fondato sull’anarchia della concorrenza tra imprese e nazioni, e caratterizzato dall’impossibilità strutturale ad attuare qualunque forma di pianificazione e coordinamento.
Dietro il protezionismo, infatti, ci sono gli stessi squilibri che hanno fatto da detonatore alla crisi.
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Fonte: Businessonline.it.