I dati delle amministrative hanno certificato il tracollo del Movimento 5 Stelle, a soli tre mesi dall’exploit di tre mesi fa, quando la formazione capeggiata da Beppe Grillo era diventata prima in Italia alle elezioni politiche. A Roma, il candidato grillino non va oltre il 12%, un segnale pessimo per quanti speravano fino a poche settimane addietro che si sarebbe avuto il primo sindaco capitolino a 5 Stelle. Niente da fare. Beppe Grillo, da leader indiscusso e carismatico, ora è sotto processo dalla base e da parte dei suoi stessi parlamentari. Il tam tam in rete è chiaro: basta con i divieti ad andare in TV. Bisogna parlare, spiegarsi alla gente. E sotto accusa è anche la linea di totale chiusura al PD, sia quando si è discusso di formare il nuovo governo, sia anche in occasione dell’elezione del nuovo capo dello stato. Il risultato di questa condotta, spiegano in molti, è che Berlusconi è tornato al governo ed è resuscitato politicamente.
Ma anche in casa PDL si registrano tensioni. I sondaggi continuano ad assegnare al centro-destra un largo vantaggio su base nazionale contro il PD, ma le urne di domenica e lunedì hanno mostrato un flop evidente del partito, così come della Lega Nord.
E Berlusconi non ha intenzione di partecipare alla rimonta per i ballottaggi, tanto che nel PDL è scoppiato il panico, quando il leader ha ieri staccato il telefono, lasciando la dirigenza alle proprie responsabilità. E se Fabrizio Cicchitto parla di un partito che deve strutturarsi sul territorio, eleggendo dal basso le segreterie e formando la classe dirigente, qui sotto accusa è il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ricopre il ruolo di segretario del partito. Non è che sia incapace di fare le due cose insieme? Molti ne chiedono la testa. Dalla Sicilia ad ottobre alle amministrative di questa settimana, il ministro ha dimostrato di non essere in grado di gestire il partito e di portare il risultato a casa. In nessuna occasione.