Alta tensione all’assemblea nazionale del Partito Democratico, con Guglielmo Epifani chiamato a scegliere la data e le regole per celebrare il congresso del partito. Il segretario ha individuato nella data dell’8 dicembre il giorno in cui votare per il congresso, scontentando tutte le altre componenti. I renziani avrebbero desiderato andare a votare il 24 novembre, mentre i bersaniani il 15 dicembre. Ironica la risposta del sindaco di Firenze: “basta che non sia Natale”. Ma la questione della data è forse il problema minore nel partito. Si è anche deciso, venendo in parte incontro alle richieste di Matteo Renzi, che resta la regola per cui il segretario del PD è automaticamente anche il candidato premier del partito, ma con la possibilità di avere altri candidati del partito.
Questa modifica ha mandato su tutte le furie veltroniani e bindiani, che hanno annunciato il loro voto contrario alla relazione di Epifani. E il segretario ha anche attaccato il centro-destra, giudicando esasperante l’utilizzo di una vicenda personale (la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi) per fini politici, invitando il PD a non farsi schiacciare dalla capacità comunicativa dell’ex premier e della coalizione avversaria e rifiutando l’etichetta di partito delle tasse.
Ma i contrasti interni sono adesso la vera preoccupazione di Epifani, che teme la rottura sulle regole. Alcune componenti potrebbero comportarsi da schegge impazzite e mandare in frantumi il partito sul tema della scelta del segretario. Un pericolo ancora più funesto, perché potrebbe arrivare a ridosso delle elezioni politiche anticipate, nel caso in cui lo scontro nella maggioranza arrivasse fino alla rottura delle larghe intese.