Non è un mistero che il governo Monti ha fatto della pressione fiscale la via per superare il rischio del collasso economico, una scelta non tanto condivisa da quel popolo a cui il governo dei tecnici è stato imposto. Sorprendente è invece vedere come nei primi dodici anni del terzo millennio la quantità e il peso delle tasse ha conosciuto una crescita senza interruzioni. Fra il 2000 e oggi gli aumenti netti di imposta ammontano a oltre 103 miliardi di euro.
I prelievi da parte dello Stato hanno raggiunto quest’anno il 44,7%, ciò significa la maturazione di un divario di cinque punti rispetto alla media europea. Proprio tra i 27 Paesi dell’Ue, l’Italia si colloca al terzo posto per l’entità della pressione fiscale, subito dietro Danimarca e Svezia. Il problema più grande nel caso italiano riguarda il cattivo uso che si fa dei soldi pubblici, i servizi offerti dallo Stato sono assenti o carenti.
Le tre manovre targate Mario Monti, succedutesi dalla metà del 2011, porteranno gli italiani a pagare nell’ultimo anno ben 35 miliardi di euro in più, in media ogni famiglia paga ulteriori 1.450 euro in tasse. I numeri, tutti ufficialmente presi in consegna dalla Confesercenti, parlano chiaro: se il nostro Paese si adeguasse al resto dei paesi dell’Unione, ogni famiglia avrebbe a disposizione un reddito aggiuntivo annuale di 3.400 euro.
La Confesercenti ha fotografato una situazione al limite “Dieci anni di manovre dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’accanimento fiscale ha prodotto un aumento gigantesco di gettito che ha impoverito pesantemente famiglie ed imprese. La pressione fiscale è insostenibile ed è diventata il maggior ostacolo alla ripresa della crescita economica: distrugge imprese e posti di lavoro, senza peraltro essere in grado di fermare l’avanzata del mostro rappresentato dal debito pubblico – infine ha lanciato un appello – È necessaria la detassazione delle tredicesime per evitare il preannunciato tracollo dei consumi, e in questa direzione andrebbero impegnate tutte le risorse disponibili. Al tempo stesso ci aspettiamo che i partiti, che parlano ormai il linguaggio delle campagne elettorali, si impegnino seriamente e non in modo propagandistico sulle scelte.”