Il disegno di legge che affida la delega al Governo in materia nucleare concede pieni poteri all’esecutivo e sottrazione di tutte le competenze alle Regioni. Ma le Regioni che potrebbero ospitare le centrali si oppongono duramente. Entro sei mesi la localizzazione dei siti.
Con questo disegno di legge “abbiamo posto le fondamenta per il rilancio dell’opzione nucleare” così ha detto il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, intervenendo ieri al Senato, prima del voto finale sul “ddl sviluppo”. Il disegno di legge 1195 affida (art.14-15-16-17-20-21) la delega al Governo in materia nucleare: pieni poteri in fatto di autorizzazioni e localizzazioni delle centrali e sottrazione di tutte le competenze alle Regioni.
Una decisione presa sulla testa delle istituzioni locali e dei cittadini, se vogliamo usare termini un po’ più moderati, ma, diciamolo chiaramente, una sorta di “golpe nuclearista” perpetrato da un governo incapace di sviluppare una proposta organica e moderna di politica energetica, nel segno dei tempi e delle reali bisogni di lungo periodo.
Scajola continua a fare affermazioni che per coloro che non sono i portatori di interesse dell’atomo sono oramai risibili: “il programma nucleare italiano non è costoso e assicurerà una riduzione strutturale dei prezzi dell’elettricità, oltre che indispensabile per rispondere alle sfide del cambiamento climatico. Inoltre, non è pericoloso“.
Ammettendo pure anche vi siano aree del nostre paese disposte ad accettare passivamente questo diktat nucleare – cosa che come vedremo è oggi poco probabile – la sicurezza sbandierata dal governo e dai fautori del nucleare viene presto contraddetta dall’impegno da parte dello Stato di dover pagare o rendere gratuite le bollette elettriche per i prossimi 20 o 30 anni dei cittadini che abitino in prossimità di una centrale. Una strategia che nel passato in Italia ha mostrato i suoi limiti, cioè quella di monetizzare i danni alle persone vicine a zone industriali con produzioni altamente nocive per la salute. Chi è disposto a barattare il proprio benessere fisico e dei propri figli per evitare di pagare l’energia elettrica?
Diciamo questo perché, come più volte hanno ripetuto esperti di radioprotezione, ad oggi non esiste una soglia conosciuta di radiazioni che può o meno procurare malattie alle popolazioni nelle vicinanze di una centrale. A tal proposito il fisico Gianni Mattioli, in una nostra intervista ci diceva che “il danno sanitario da radiazioni è un ‘danno senza soglia’: dosi anche piccole di radioattività (naturali rilasci dalle centrali, ndr) innescano processi di tumori, leucemie o effetti nelle generazioni successive, tanto che la definizione di ‘dose massima ammissibile’ per i lavoratori e per le popolazioni, fornita dalla Commissione internazionale per la radioprotezione, invece di essere ‘quella particolare dose al di sotto della quale non esiste rischio’, è curiosamente ‘quella dose cui sono associati effetti somatici, tumori e leucemie che si considerano accettabili a fronte dei benefici economici associati a siffatte attività o radiazioni’.
Benefici economici o salute? Ancora ci troviamo di fronte a questo dilemma. La questione è che c’è una totale incapacità di gestione di questo aspetto, uno dei tanti problemi del nucleare, come i costi eccessivi, la messa in sicurezza delle scorie, le risorse di uranio, ecc.
Il Presidente di Legambiente, Cogliati Dezza, ha detto, in proposito degli “incentivi” ai cittadini nuclearizzati, che “comprarsi l’acquiescenza non è una carta vincente proprio perché i problemi di sicurezza nucleare non sono stati risolti e, se vogliamo, il fatto che si sia disposti a pagare le popolazioni locali per ospitare una centrale è proprio una ammissione di colpa”.
Il disegno di legge approvato concede sei mesi al governo per definire i criteri per la localizzazione dei siti nucleari. Ma quali comunità locali o zone del nostro paese potrebbero ospitare le quattro centrali ?
Per Greenpeace “lo stivale è assolutamente inadatto alle centrali nucleari”. Allo stato attuale potrebbe essere pochissime le aree papabili visto il rischio sismico di almeno il 40% del nostro territorio, la ridotta portata dei fiumi per la notevole quantità di acqua necessaria al raffreddamento degli impianti, la alta densità abitativa, il probabile innalzamento del livello del mare previsto nei prossimi decenni che porta ad escludere molte aree costiere.
Una prima approssimativa analisi indicherebbe le possibili ubicazioni in Sardegna (province di Ogliastra, Nuoro e Cagliari), in Puglia (nel brindisino), lungo il corso del Po (province di Vercelli e Pavia), l’isola di Pianosa in Toscana. Quanto al sito di Montalto di Castro (VT), dove recentemente c’è stata una visita di tecnici dell’azienda francese Edf, per il direttore di Greenpeace, Giuseppe Onufrio, “rimane un forte indiziato sia per la vicinanza al mare in una zona costiera a minor rischio climatico che per le condizioni della rete elettrica”. Quindi, aggiunge, “ci aspettiamo che la Regione Lazio nel suo piano energetico escluda chiaramente questa possibilità”. Il Presidente Marrazzo e l’Assessore Zaratti sembrano muoversi proprio su questa linea.
Per quanto riguarda la Sardegna l’alzata di scudi viene proprio da esponenti della maggioranza. I deputati sardi del Pdl, Bruno Murgia e Fabio Granata, ritengono infatti il nucleare una “scelta arretrata” e “il ‘no’ all’atomo in Sardegna è una scelta convinta e motivata”. Perché non accettare centrali atomiche sull’isola significa per i due esponenti del partito di governo avere “una visione del nostro futuro” e aggiungono che la classe politica sarda “deve avere in mente un’idea di sviluppo innovativa”, con la quale “il nucleare è in aperta contraddizione”. Parlano di sviluppare per la loro Regione “un’economia leggera, dinamica, legata all’ambiente e al territorio che affianchi il turismo”. Chissà cosa avrebbero votato al Senato? Nettamente contrari a siti nucleari in Sardegna anche il neoeletto governatore Cappellacci e il presidente dell’assemblea legislativa, Claudia Lombardo, entrambi del partito di Berlusconi e Scajola.
Per la Puglia, il governatore Nichi Vendola è stato netto: “dovranno venire con i carri armati per imporre le centrali atomiche nella nostra regione”. “Immaginare Ostuni (la cittadina del brindisino dove potrebbe essere realizzata una centrale, ndr) o comunque nel Salento una centrale nucleare – ha detto Vendola – significa avere un formidabile senso dell’umorismo”.
Per gli esponenti dei governi regionali di Lazio, Toscana e Piemonte il rifiuto del nucleare è senza discussione. Per la presidente della regione Piemonte, Mercedes Bresso, si profilerebbe anche un conflitto costituzionale e peraltro ritiene necessaria “ogni possibile strada per opporsi”.
Unica, tra le Regioni italiane, a non avere una posizione netta è la Lombardia. Ma ci riesce difficile pensare alla strategia comunicativa che il governatore Formigoni potrebbe adottare per convincere i cittadini lombardi della bontà del nucleare, semmai si trovasse un angolino in una delle regioni più densamente popolate del paese.
I cittadini sono anche elettori e allora sembra proprio che il governo si è messo in un bel ginepraio. L’effetto nucleare immediato potrebbe essere quello di perdere consensi, il rischio più grave per Berlusconi.
Fonte: Qualenergia.it