Sono dati desolanti quelli che emergono dal Rapporto Annuale dell’Istat sul lavoro: in Italia attualmente ci sono almeno sei milioni di persone che permangono senza lavoro ma vorrebbero trovare un’occupazione stabile.
Un numero che si ottiene sommando le forze di lavoro potenziali, di poco superiori ai 3 milioni di individui, ai disoccupati in cerca di lavoro. Secondo il rapporto “tra le forze di lavoro potenziali é aumentata la quota di quanti dichiarano come motivazione della mancata ricerca lo scoraggiamento: non si cerca più un lavoro perché si ritiene di non poterlo trovare e, anche in questo caso, il fenomeno interessa soprattutto le donne, in particolare il Mezzogiorno”.
A causa della perdurante crisi è ovviamente cambiato anche il mondo del lavoro. In pratica il part time è raddoppiato, anche se non per volontà dei diretti interessati che si sono dovuti gioco forza adattare, mentre è diminuita la percentuale degli occupati sia per quello che riguarda gli immigrati che la componente femminile. Ma anche il lavoro qualificato è uscito dal 2012 è stato profondamente rivoluzionato.
Nel 2012 l’occupazione é diminuita complessivamente dello 0,3% sui 12 mesi (ossia 69mila unità in meno) e negli ultimi cinque anni del 2,2%, ossia 506 mila unità. Al contempo la disoccupazione é cresciuta del 30,2% (ossia 636mila unità) e dal 2008 i numeri sono superiori al milione. Inoltre quasi la metà dei nuovi disoccupati del 2012 ha tra i 30 e i 49 anni e un disoccupato su due é in questa situazione da almeno un anno.
Le persone in cerca di occupazione da almeno 12 mesi sono aumentate dal 2008 di 675mila unità e nel 2012 rappresentano il 53% del totale, contro una media nei 27 Paesi dell’Unione Europea del 44,4%. La durata media della ricerca di un nuovo lavoro é pari a 21 mesi (media tra i 15 mesi nel Nord e i 27 mesi nel Mezzogiorno) ma arriva anche a 30 mesi per chi sia in cerca di una prima occupazione.
Inoltre in Italia c’è la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano, ossia i ‘Neet’, arrivati a 2 milioni 250 mila nel 2012. Se a ciò aggiungiamo che nel 2012 l’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie é salita al 16,1%, ossia il livello più alto dal 1990, il quadro negativo è completo.