Il premier Enrico Letta si è dimesso, dopo che Matteo Renzi ha finito di parlare alla direzione del Partito Democratico di oggi, convocata per fare il punto sul governo e per confermare la linea del partito sul destino dell’esecutivo a guida Letta. Il segretario del PD aveva ribadito l’intenzione di chiedere le dimissioni del premier, perché l’Italia ha bisogno di una svolta.
Non c’è stato un attacco duro all’indirizzo di Letta, né da parte di Renzi, né degli altri esponenti del partito. Un modo, com’era stato anticipato dalla stampa, per cercare di stemperare il clima di scontro tra il partito e il premier e per allontanare il rischio di una scissione, con Letta a guidare un gruppo di parlamentari in rivolta contro la segreteria, magari fondendosi con il partito di Angelino Alfano.
Tuttavia, non sono mancate le voci critiche alla linea ufficiale della segreteria. Pippo Civati e Matteo Orfini, ad esempio, hanno espresso riserve. Pur non avendo mai sostenuto il governo Letta, i due esponenti piddini hanno rimarcato come tutto il partito fosse stretto intorno ad esso fino a qualche giorno fa, salvo adesso prenderne improvvisamente le distanze, trovando in Letta ogni tipo di difetto.
La crisi di governo era già certissima, così come la richiesta di dimissioni del governo da parte del PD. Restava solo di vedere cosa avrebbe fatto il presidente del consiglio, se avrebbe portato lo scontro fino all’ultimo sangue, chiedendo un voto di fiducia alle Camere, per farsi sfiduciare ufficialmente dal suo partito e chiarire di fronte al paese chi ha votato cosa.
Una richiesta di formalizzazione della crisi in Parlamento era arrivata da Forza Italia, con Renato Brunetta che ha chiesto che si voti la sfiducia. Il Quirinale era e resta contrario alla drammatizzazione della crisi, così come lo stesso premier Letta sarà stato indotto dal presidente Giorgio Napolitano a desistere e a rassegnare le dimissioni. La guerra dentro al PD è solo iniziata.