Nessuno si sarebbe immaginato uno scenario così apocalittico per il Partito Democratico, che solo 24 ore fa sembrava avere trovato l’unità interna con la proposizione di Romano Prodi al Quirinale. L’esito del quarto scrutinio è stato nefasto: con un quorum di 504 voti richiesti per l’elezione, Prodi si è fermato a 395. Ben 101 al di sotto dei 496 di cui in teoria il centro-sinistra godeva. E tenendo presente che nessuno di Sel ha tradito, in quanto hanno votato tutti in modo tracciabile (“R.Prodi”), si tratta solo tutti di franchi traditori del PD, il partito dell’ex premier e che lo aveva proposto. Immediate le conseguenze politiche per il partito, con la presidente Rosy Bindi che annuncia le dimissioni, non volendosi assumere la responsabilità di una gestione fallimentare nella quale sostiene di non essere stata più coinvolta dalla data delle elezioni politiche.
Qualche ora dopo, in seguito a una riunione drammatica del PD, il segretario Pierluigi Bersani annuncia il suo passo indietro, dichiarando che le dimissioni saranno operative un secondo dopo l’elezione del nuovo capo dello stato.
Il partito è allo sbando e sono in tanti in esso a dichiarare che non esiste più. Lo stesso Matteo Renzi esce sconfitto, avendo sostenuto l’elezione di Prodi. Un caos, che si ripercuote subito sulle istituzioni, tanto che il PD annuncia anche per il quinto scrutinio scheda bianca.
Il big-bang è avvenuto. Il partito ieri sera era spaccato in tre linee: adeguarsi a Grillo e sostenere Stefano Rodotà; ricerca di un’intesa con il centro-destra e Monti per eleggere un nome largamente condiviso; chiedere a Giorgio Napolitano di farsi rieleggere, prendendo atto dello stallo politico in cui si trova il Parlamento.
Da Mali, dove si trova in missione per l’Onu, Romano Prodi è durissimo: “chi mi ha chiamato fino a qui dovrà assumersi la responsabilità”. La guerra interna al PD è esplosa, ma è ancora solo all’inizio.