Renzi si scopre anti-Cav con Fassina per non scomparire. Centro-destra al 36%

Asse Renzi-Fassina anti-CavNiente Berlusconi alla presidenza della Convenzione per le riforme. Lo stop è arrivato due sere fa dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che si è finora sempre distinto per le sue aperture molto nette verso il centro-destra e il suo leader. Ma una cosa sarebbe fare un governo con il PDL, ha spiegato Renzi, un’altra è fare di Berlusconi un padre costituente. E un altro “niet” è arrivato ieri proprio da Stefano Fassina, neo-sottosegretario all’Economia. Berlusconi non avrebbe le carte in regola per guidare una Convenzione a tutela di tutte le parti politiche. Insomma, un inedito fuoco di sbarramento congiunto anti-Cav da parte di renziani e (ex) bersaniani, che si regge non tanto su una precisa convinzione, quanto sulla volontà di sopravvivere al governo Letta. Per ragioni diverse, sia Fassina che Renzi non amano il governo di cui pure fanno parte. Il primo rappresenta l’ala sinistra del PD e teme l’emorragia dei consensi, già in atto da settimane e che avrebbero fatto sprofondare il partito al 22,8%, ben 5,3 punti in meno del PDL, stando a un sondaggio Tecnè per Sky TG24. La coalizione guidata da Silvio Berlusconi si sarebbe portata così al 35,9%, il centro-sinistra si fermerebbe a quota 28,5%.

Il sindaco fiorentino, invece, teme di morire politicamente, se il governo Letta dovesse realmente durare per qualche anno. Per questo, entrambe le parti starebbero cercando di scompigliare lo scenario, di alzare la voce e determinare le condizioni affinché Letta esca presto da Palazzo Chigi. Anche perché i sondaggi dicono che oggi il premier sarebbe più popolare di Renzi, un vero affronto per colui che smania per guidare il prossimo governo.

In questa fase confusionale per i democratici si aggiunge anche la lotta per la segreteria, dopo le dimissioni di Bersani. Una poltrona calda e allo stesso tempo ambita, ma non ora. Renzi si tira fuori, mentre da sinistra si caldeggia una soluzione forte, respingendo l’ipotesi di una transizione sotto l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, giudicato troppo filo-governativo e con scarso appeal verso una base in fuga.

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