I pacchetti di stimolo e le strategie per sviluppare un’economia verde servono anche per sostenere il tessuto industriale di un paese ad un radicale cambiamento, fondamentale per affrontare i futuri e più rigorosi obiettivi di riduzione delle emissioni. Dall’intervento di Gianni Silvestrini al Forum “QualEnergia?”.
I pacchetti di stimolo varati in diversi paesi, che includono anche una spinta verso la cosiddetta “green economy”, produrranno i primi effetti nella seconda metà del 2009 e nel primo semestre del 2010. Ma l’utilizzo della “green economy” per uscire dalla crisi è importante per far capire come soprattutto nei momenti di crisi possano innescarsi rapidi processi di cambiamento. E’ il caso del comparto auto in Usa, che ha perso notevoli quote di mercato a vantaggio dell’industria giapponese e che oggi si rimette in moto grazie al denaro pubblico, ma condizionato alla creazione di modelli molto meno energivori. Anche per la produzione e il consumo di energia ci possono essere nuovi processi innovativi da innescare.
Nel periodo di recessione post-crisi del ’29, con la sua gravissima disoccupazione, si diceva, come paradosso, che pur di far lavorare la gente e favorire così un incremento dei consumi, poteva bastare far scavare delle buche per poi tapparle. Noi in Italia, ma è così anche nel mondo, abbiamo dei buchi che dovrebbero essere tappati. Sono quelle delle nostre abitazioni. Avremmo l’opportunità di attivare un processo di forte riqualificazione energetica dei nostri edifici, che è poi uno dei punti centrali del pacchetto di stimolo di Obama, e grazie ad una seria politica di riduzione dei consumi di energia nel settore civile potremmo risparmiare quello che l’Italia produce in termini di gas naturale, cioè una sorta di nuovo giacimento sul nostro territorio.
Questo è un tipico esempio di intervento “contro-ciclico” che consentirebbe di sviluppare le piccole-medie imprese, di risparmiare energia e di ridurre le emissioni di CO2.
Ma nella logica della green economy c’è un altro obiettivo che dobbiamo tenere presente: aiutare i nostri settori economici alla transizione economica ed energetica che negli anni sarà molto più accelerata e radicale. Nel recente rapporto della IEA (International Energy Agency) si può notare come gli investimenti energetici dei prossimi 30 anni, necessari a mantenere le emissioni in atmosfera a 450 ppm (target indicato dall’Ipcc come scenario meno rischioso per il pianeta), dovranno essere superiori di 3 o 4 volte rispetto a quelli attuali.
Siamo, dunque, solo all’inizio di una rivoluzione energetica che porterà ad un cambiamento drastico nel modo di costruire edifici e di produrre e consumare energia. E per questo motivo bisognerà sostenere il mondo delle imprese e avere le competenze per avviare questa transizione.
Gli investimenti verdi in un periodo di crisi economica devono servire anche a preparare il tessuto industriale e imprenditoriale di un paese a questa nuova fase che ci aspetta dietro l’angolo, soprattutto alla luce di obiettivi sempre più stringenti di riduzione delle emissioni di gas serra.
Quando Stati Uniti e Gran Bretagna si pongono obiettivi di riduzione delle emissioni dell’80% entro 40 anni, significa porre le condizioni per cambiare, in questo lasso di tempo, tutto il sistema produttivo. Un passaggio che potrebbe essere anche molto doloroso. Con vincitori e vinti.
Anche l’obiettivo dell’Unione Europea di un terzo di energia elettrica verde tra 11 anni è un impegno gigantesco che certamente comporterà ingenti costi economici. Un discorso che vale anche per l’Italia che oggi ha in vigore incentivi elevatissimi. Solo attraverso una costante riduzione degli incentivi si avrà però una maggiore competitività delle tecnologie verdi e una diminuzione dei costi complessivi per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che ci siamo dati. La strategia è dunque quella di ridurre gli incentivi senza però bloccare la crescita delle imprese.
Ma dobbiamo ricordare che, come affermato in uno studio IEA, uno scenario avanzato di sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica rispetto ad uno scenario convenzionale è comunque sempre una strategia a minor costo per il paese.
L’Italia si deve attrezzare da subito per questo cambiamento. E’ partita in ritardo, ma esistono ancora margini di successo.
Quando il nostro paese decise di uscire dal nucleare, venti anni fa, c’erano già tutti i segnali per far giocare all’Italia la carta dell’energia pulita. A quel tempo era partita la California sull’efficienza energetica, la Danimarca sull’eolico, la Germania sul solare termico e il Giappone sul fotovoltaico.
Adesso avremmo avuto un tessuto industriale in grado di competere nel mondo. Il nostro sistema paese ha una finestra di 5-7 anni per recuperare in questi settori, ma serve avere la chiarezza del quadro mondiale in cui ci sta muovendo e comprendere le straordinarie opportunità che sono legate ad una rivoluzione che ormai è già partita.
Dall’intervento di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e di QualEnergia, al Forum “QualEnergia?” di Roma.
Fonte: Qualenergia.it