Continua a sbalordire il costo del carburante che, nonostante i listini mondiali al ribasso, colpisce duramente le finanze di famiglie e automobilisti. L’enigma rimane dunque irrisolto se si considera che il barile di petrolio è sceso da 144 a 66 dollari in un anno, ma i prezzi alla pompa sono tornati ai massimi di qualche mese fa.
Fa comunque riflettere il fatto che tra le società che l’anno scorso hanno guadagnato più utili in assoluto a livello mondiale figurano al primo e al secondo posto, nella classifica di Forbes, proprio due major petrolifere: ExxonMobil, con 45,2 miliardi di dollari, e Chevron, con 23,9 miliardi!
Tra i dubbi amletici che assillano i consumatori soprattutto la doppia velocità del prezzo di greggio e benzina: risulta infatti evidente la sproporzione tra il 1° giugno di quest’anno (1,27 euro al litro per 66 dollari al barile) e la stessa data dell’anno scorso quando un barile costava 144 dollari e la benzina al litro 1,53 euro.
L’accusa
Il walzer delle cifre non sembra piacere ad associazioni consumatori, né tanto meno al Ministro Scajola, che avrebbe richiesto una spiegazione alle major del petrolio, proprio in occasione dell’assemblea annuale dell’Unione petrolifera.
La difesa
Informazione tendenziosa e assolutamente infondata, replicano dall’associazione di categoria i petrolieri. A sobillare i consumatori sarebbero infatti certi organi di stampa e associazioni consumatori scarsamente informati sui fatti. Per quanto concerne poi la distanza di prezzi con il resto d’Europa, si tratterebbe di un disavanzo minimo di 3-4 centesimi avrebbe risposto il presidente dell’associazione di categoria De Vita nel corso dell’audizione alla commissione Controllo dei prezzi del Senato. La differenza è comunque alimentata “dall’abitudine del consumatore italiano a farsi servire (60%) mentre in Europa il 90% si serve da solo. E poi in Italia abbiamo un numero più alto di impianti, con una vendita più bassa e costi più elevati”.
I soliti sospetti
Come si compone il prezzo di un litro di carburante? Il 40% è determinato dal costo industriale (sommatoria di costi come la materia prima, trasporto, stoccaggio, raffinazione e margini per il benzinaio), mentre il restante 60% dalle componenti fiscali (accise e Iva).
Quanto incidono aumenti o diminuzioni delle quotazioni del petrolio? L’andamento dei mercati può provocare oscillazioni nell’ordine del 30% sul prezzo finale al consumo, ma il margine di speculazione va ricercato all’interno delle componenti di costo industriale. In particolare andrebbero tenute sott’occhio le quotazioni del petrolio pubblicate da Platts (un’agenzia indipendente basata a Londra) relative al greggio raffinato, benzina o gasolio, espresse in dollari per tonnellata, sulle quali viene stabilito il valore delle transazioni petrolifere.
I principali sospettati all’interno di questo circolo vizioso di caro-tariffe sarebbero, stando alle analisi CnnMoney, le raffinerie, che starebbero cercando di recuperare le perdite subite lo scorso anno, quando sono state costrette a comperare petrolio al massimo delle quotazioni, per poi rivendere i raffinati in un mercato depresso.
Nella situazione attuale, secondo gli stessi analisti, gli impianti di raffinazione avrebbero ridotto la produzione, in modo da far salire i prezzi, dopo aver stoccato, nei mesi passati, barili di petrolio a basso prezzo (a dicembre è stato raggiunto il minimo di 34 dollari al barile e fino ad aprile il greggio si è mantenuto sotto i 50 dollari). Un ulteriore approfondimento, che sicuramente farebbe emergere curiose scoperte, potrebbe essere fatto anche a proposito del fattore cambio, dal momento che le compagnie europee comprano il petrolio in dollari, e rivendono in euro i prodotti raffinati, benzina o gasolio.
Fonte: Soldiblog.it