Azione legale contro il Cip6 agli inceneritori

Al via un’azione legale collettiva per riavere i soldi pagati in bolletta per gli incentivi Cip6, finiti anche a inceneritori e raffinerie. Un rimborso cui darebbe diritto la normativa europea che stabilisce espressamente che i rifiuti non organici non possono essere incentivati come le fonti rinnovabili.

Un’azione legale collettiva per riavere i soldi prelevati dalla bolletta per finanziare la produzione di energia da rifiuti non biodegradabili, scarti di raffineria e altre fonti non proprio pulite. Parte da Acerra una nuova puntata della lotta al famigerato CIP6, l’incentivo nato per sostenere le rinnovabili, ma di fatto destinato in gran parte a inceneritori e ad alcune tipologie di impianti a fonti fossili.

L’iniziativa nasce dall’associazione Diritto al futuro e dalla rete italiana Rifiuti zero: passando per il tribunale chiederanno di far restituire agli utenti le somme pagate in bolletta dal 1991 al 2007 che tramite l’incentivo CIP6 sono finite “a inceneristi e petrolieri”. I giudici – spiegano i promotori dell’azione, dovrebbero riconoscere i rimborsi applicando la normativa prevalente, ovvero quella europea, che con la direttiva 2001/77 dice espressamente che l’energia dai rifiuti non organici non può essere assimilata alle fonti rinnovabili.Quella dell’incentivo CIP6 alle fonti non rinnovabili infatti è un’anomalia tutta italiana contro la quale l’Europa si è espressa più volte. Nato nel ‘92 con la delibera 6/92 del Comitato interministeriale prezzi, l’incentivo – tramite un prelievo di circa il 7% sull’importo della bolletta – va a premiare gli impianti che producono energia da fonti “rinnovabili e assimilate”, una definizione che ai sensi della legge comprende assieme alle rinnovabili vere e proprie “la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici”, leggasi rifiuti solidi urbani e scarti di raffineria, divenuti successivamente, con un decreto del 1999, rinnovabili a tutti gli effetti secondo la legge italiana.

A chiarire che i rifiuti non organici non siano fonti rinnovabili né possano essere trattati come tali è intervenuta appunto, nel 2001, la direttiva comunitaria 2001/77, rafforzata poi dal pronunciamento della Commissione del 20 novembre 2003, rivolto direttamente al nostro paese: “Risulta chiaro che le disposizioni specifiche della disciplina comunitaria relative agli aiuti destinati alle fonti energetiche rinnovabili (punti E.1.3 e E.3.3) sono applicabili soltanto alle fonti rinnovabili che rispondono alla definizione dell’articolo 2 della direttiva 2001/77/CE […]. Le suddette disposizioni non si applicano pertanto agli aiuti per la produzione di energia da rifiuti non biodegradabili.”

Dopo un recepimento della direttiva europea da parte del secondo governo Berlusconi, nel 2003, che faceva continuare l’infrazione, mantenendo gli incentivi CIP6 agli inceneritori, nel 2007 l’allora governo Prodi aveva dato uno stop, stabilendo, nella finanziaria, che il premio per inceneritori e raffinerie dovesse andare solo agli impianti realizzati e operativi al momento di entrata in vigore della legge.

Il CIP6 alle “finte rinnovabili” è stato infine resuscitato dall’ultimo governo Berlusconi nel 2008, grazie all’emergenza rifiuti in Campania (vedi Qualenergia.it “Il ritorno del CIP6″). Non solo le Regioni dell’emergenza ora possono costruire nuovi inceneritori incentivati, ma il regime agevolato verrà riconosciuto a tutti gli impianti in costruzione o entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2009. Oltre al Cip6, la legge 210/2008, che converte il decreto sull’emergenza rifiuti, riconosce a tutti i termovalorizzatori d’Italia anche l’accesso al meccanismo dei certificati verdi per il 51% dell’elettricità prodotta, senza distinzione tra gli impianti che bruciano solamente la frazione secca e quelli che invece usano il rifiuto “talquale” compresa, cioè, la frazione organica.

Ora, però, Diritto al futuro e la rete Rifiuti Zero chiedono che quei soldi presi dalle bollette degli italiani negli anni vengano restituiti e che venga riconosciuto per il futuro il diritto a non pagare tale componente. L’incentivo secondo le associazioni non solo sottrarrebbe risorse alle rinnovabili vere, ma indirizzerebbe a una gestione sbagliata del problema rifiuti, con grandi ricadute negative dal punto di vista ambientale e sanitario. “I contributi finanziari rendono conveniente bruciare plastiche, carta e legno, mentre sarebbe più redditizio, sia dal punto di vista energetico che da quello economico, riciclarli o riutilizzarli”, spiegano spiegano da Diritto al futuro, “sono infatti proprio gli incentivi – a convincere i tecnici provinciali e comunali o i tecnici delle aziende di gestione a modulare il livello di raccolta differenziata a valori spesso molto bassi. In poche parole, i disservizi sui rifiuti ci vengono fatti pagare due volte: con la bolletta dei rifiuti e con quella dell’elettricità, per continuare ad utilizzare antieconomici impianti di combustione.”

Fonte: Qualenergia.it

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