Accordo radioattivo. Quale futuro?

Berlusconi e Sarkozy hanno firmato il protocollo d’intesa sul nucleare tra Italia e Francia che coinvolge Enel ed Edf. Il primo reattore operativo nel 2020. Una scelta anti-storica che rischia solo di togliere dalle sabbie mobili l’industria nucleare transalpina.

Oggi a Roma il presidente del consiglio Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicholas Sarkozy hanno firmato il protocollo d’intesa sul nucleare tra Italia e Francia. Un accordo, come si è detto a livello ufficiale improntato alla “ricerca di una politica nucleare condivisa di lungo periodo, con convergenza e armonizzazione in termini di sicurezza a difesa ambientale”.
Nuovo spot nucleare o l’inizio di un nuovo percorso italico dell’atomo?
Berlusconi ritiene che la “generosità” francese nel mettere a disposizione il suo know-how sulla tecnologia Epr ci consentirà di risparmiare diversi anni nella realizzazione delle future centrali italiane. Ma la prima arriverà solo nel 2020. Forse. Intanto l’Italia vuole collaborare alla realizzazione di altre centrali nucleari in Francia o in altri paesi e solo dopo affronterà, si dice, la costruzione e la realizzazione di centrali nucleari nel nostro paese.
Sarkozy, dal canto suo, si dice disposto a dare una “collaborazione forte e illimitata” all’Italia, ritenendo un fatto necessario “sviluppare in maniera massiccia la creazione di centrali nucleari”.

Queste le dichiarazioni, ma vediamo in cosa consiste l’accordo, almeno per grandi linee.
Sul piano operativo l’accordo tra i due paesi è soprattutto un accordo tra Enel ed Edf (la prima di proprietà per il 21% del Ministero dell’Economia, la secondo interamente statale). Sarà in vigore per i prossimi 5 anni con possibilità di estensione il “Memorandum of Understanding” (MoU) siglato da Fulvio Conti, amministratore delegato e direttore generale di Enel e Pierre Gadonneix, presidente e direttore generale di Edf. Questo accordo pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende: 4 unità a tecnologia Epr (European pressurized water reactor), la prima delle quali sarà operativa entro il 2020. Tutto però a partire dopo il completamento dell’iter legislativo e tecnico, attualmente in corso, per il ritorno del nucleare in Italia.

L’accordo prevede anche che Enel partecipi alla realizzazione del reattore Epr di Penly, nel dipartimento della Senna marittima nella regione dell’Alta Normandia, il secondo del genere oltre quello di Flamanville, sempre in Normandia. Si tratta delle prime due centrale di terza generazione Epr. In entrambi i casi, la quota italiana sarebbe del 12,5%.
Con il MoU, Enel ed Edf si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle centrali Epr. Una volta completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare Epr.

Le centrali vedranno la partecipazione di maggioranza per Enel nella proprietà degli impianti e nel ritiro di energia, la leadership di Enel nell’esercizio degli impianti e l’apertura della proprietà anche a terzi, con il mantenimento per Enel e Edf della maggioranza dei veicoli societari.
In un prossimo MoU, Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori Epr, a partire da quello che recentemente il Governo francese ha autorizzato nella località di Penly.

Insomma, l’intesa ha tutta l’aria di fruttare un bel fiume di denaro d’affari. Ma per chi? Con quali vantaggi per i cittadini, per il sistema energetico e per l’ambiente? Le critiche su questi aspetti non si sono fatte attendere.
Per Greenpeace, ma per anche per molte associazioni ambientaliste e diverse aree politiche, l’accordo firmato oggi è a tutto vantaggio di Sarkozy, che sta cercando così di tenere in piedi un’industria nucleare francese piuttosto in difficoltà.

“L’atomo ormai rischia di essere marginalizzato come tecnologia energetica in tutti i mercati liberalizzati”, ricorda Pippo Onufrio, presidente di Greenpeace. Una tecnologia che in effetti è ferma da decenni. In particolare, per quanto concerne la tecnologia Epr esistono solo due cantieri: uno in Finlandia e uno in Francia, e nessun impianto ancora è in funzione. In Finlandia “i costi effettivi a metà della costruzione hanno già superato del 50% il budget, e l’autorità di sicurezza nucleare finlandese ha riscontrato 2100 non conformità nel corso della costruzione”, ha spiegato Onufrio.
Oggi sono solo gli Stati che chiedono di costruire reattori e non gli operatori privati, perché la tecnologia è troppo costosa e questa può considerarsi a pieno titolo una tecnologia di Stato, che cioè può operare solo se sussidiata dai governi per il suo intero ciclo di vita. L’interesse è dunque solo di pochi grandi gruppi energetici che puntano a divedersi quote significative di denaro pubblico, esternalizzando molti costi (scorie, decommissioning, ecc.)

Per molti allora questa di oggi è un’iniziativa anti-storica, di retroguardia e foriera di onerose conseguenze economiche e ambientali, per non parlare dello scarso contributo in termini di produzione elettrica che potrà dare, ma soprattutto in netta controtendenza con le priorità del superamento di una crisi economica gravissima che molti ritengono di affrontare con una riconversione verde delle economie mondiali. Ma questa scelta del governo, criticano Mattioli e Scalia, rischia invece di decurtare risorse importati alle fonti rinnovabili e al risparmio energetico, le uniche scelte che darebbero grande competitività alle nostre imprese.

E pensare che solo fino a qualche settimana fa il Governo e i suoi ministri erano diventati un disco rotto che ripeteva quanto era costoso per il nostro paese il pacchetto clima-energia 2020 dell’UE!

LB

Fonte: Qualenergia.it

2 Comments

  1. Carlet

    La notizia apparsa sul notiziario di Tiscali credo che sia alquanto tendenziosa.
    Per non scendere in dettaglio economico-energetici, direi di segnalare problemi di natura logistica e di tempistica:

    L’Italia è un paese secondo solo al Giappone per rischio sismico, dove fare le centrali? E soprattutto chi le vuole?
    L’Italia ha bisogno ora di energia e pensare che la prima centrale nucleare andrà in funzione prima del 2020 è una follia (ex pensare alla salerno-reggio calabria)
    Terzo e non ultimo, mi sembra una scelta alquanto arrogante quella del governo di andare contro il volere popolare sancito da un referendum, che seppur di 20 anni fa, mi pare che rispecchi la tendenza di oggi.

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