Roma – Così piccola che sta sulla punta di un dito. Abbastanza efficiente da promettere un futuro radioso, ma al momento penalizzata nelle sue doti proprio dalle sue dimensioni: la più piccola cella a combustibile del mondo sembrerebbero averla assemblata all’Università dell’Illinois, misura appena 3 millimetri di lato e uno solo di spessore e farebbe la sua degna figura dentro un minuscolo gadget hi-tech. Peccato solo che la sua autonomia, al momento, non superi le 30 ore.
A penalizzare il prodotto del team statunitense, tuttavia, non è soltanto la durata: anche la produzione di energia è inferiore a quella auspicabile per tenere in vita qualsiasi dispositivo attualmente in commercio, visto che si arresta ad appena 0,7 volt con una intensità compresa tra 0,1 e 1 milliampere. Troppo poco per pensare di riuscire, ad esempio, a far funzionare un lettore MP3 o un cellulare, ma le prospettive sembrerebbero essere allettanti.
La peculiarità della cella sviluppata da Richard Masel, Saeed Moghaddam e Mark Shannon è infatti quella di produrre energia senza consumarne tra quella generata: eliminando onerose pompe e relativa elettronica di controllo, la cella dell’Illinois riesce ad ottimizzare il processo di produzione dell’energia sfruttando la permeabilità di una membrana per far passare alcune molecole d’acqua in forma gassosa in un vano dove è presente un idrossido metallico. In questo modo, la reazione chimica che si innesca ha come sottoprodotto l’idrogeno: quest’ultimo reagisce con una membrana MEA per produrre effettivamente l’elettricità.
La continua generazione ed esaurimento dell’idrogeno derivato dalla reazione chimica tiene in piedi il meccanismo: quando l’idrogeno aumenta la camera di reazione si satura e l’acqua cessa di filtrare al suo interno. Non appena l’idrogeno viene consumato dalla membrana per produrre elettricità, il meccanismo ricomincia e termina solo all’esaurirsi dei reagenti. Viste le dimensioni in gioco, inoltre, a regolare questo processo è unicamente la tensione superficiale dei fluidi e non la gravità: in questo modo la cella non varia il suo funzionamento a prescindere dal movimento a cui viene sottoposta.
Secondo gli esperti chiamati da New Scientist a commentare l’invenzione, sebbene la micro-cella non sia esattamente un portento in fatto di elettricità erogata parrebbe comunque avere prospettive rosee: si tratta ovviamente solo della prima versione, ma rispetto al volume complessivo del dispositivo le prestazioni sono già buone. La stima di 100 watt erogati per ogni decimetro cubo di volume occupato – che nel caso specifico equivale praticamente alla quantità effettiva di reagenti contenuti nella cella – dovrebbe consentire in breve di rendere questo dispositivo abbastanza efficiente da trovare un’applicazione pratica.
Luca Annunziata
Fonte: Punto-informatico.it