Nel 2009 gli investimenti punteranno sulle tecnologie verdi. I green capital venture rischiano però di scontrarsi con distorsioni del mercato, concorrenza e vari elementi di incertezza. Alcuni ci rimetteranno, ma anche quando e se la bolla scoppierà, l’ambiente ci avrà guadagnato.
C’è un modo di dire che sta prendendo piede negli Usa: “to make green with green”, cioè fare soldi (“verdoni”) con il verde.
Infatti, quello delle tecnologie pulite è in questo momento il settore caldo per gli investitori americani. Già a ottobre i capitali riversati nei green venture capital (i fondi d’investimento che scommettono su aziende verdi in crescita o allo stato embrionale) avevano registrato un record. Ora, con la presidenza Obama e i massicci investimenti pubblici in fonti rinnovabili ed efficienza che si profilano, il settore attira ancora più denaro: mentre il 2009 – pronostica la National Venture Capital Association – sarà un anno difficile per i fondi di venture capital in generale, gli investimenti nelle tecnologie pulite cresceranno ancora e saranno il campo in cui si raccoglierà più denaro.
D’altra parte quello dei venture capital è una tipica forma d’investimento che si getta sul “business del momento”, spesso per un meccanismo speculativo fondato più sulla percezione che su un’analisi delle possibilità di sviluppo effettive di un settore. Un meccanismo responsabile delle famose bolle che nella storia si sono susseguite ciclicamente; la più famosa quella delle aziende del web che, dopo aver attirato ingenti finanziamenti alla fine degli anni ‘90 ed aver esordito con ottimi risultati in borsa, nel 2001 per la stragrande maggioranza videro crollare le proprie azioni – il cui valore non era giustificato – facendo sparire i capitali di chi non aveva venduto in tempo.
Quella del clean tech appena iniziata sarà un’altra bolla? Un’analisi di esperti del settore su Greentech Media lo esclude, ma mette anche in guardia da facili entusiasmi. Quello che è successo con l’IT alla fine degli anni ’90, spiegano, non può ripetersi: la vendita delle aziende avviate o la loro quotazione in borsa richiederà che i progetti creati dimostrino la loro efficacia prima di dare profitti. Ma le distorsioni comunque non mancano: si investe sempre più in progetti già relativamente avanzati che non nelle vere e proprie start-up. Ciò rende più difficile realizzare guadagni creando aziende dal nulla e rivendendole, la fonte di profitto principale nei green venture capital. Altro elemento pericoloso, gli investimenti sono concentrati in pochi settori (solare, biofuels e trasporti assorbono più del 60% dei fondi): difficilmente molte aziende che operano negli stessi campi troveranno buone valutazioni e molte saranno destinate a perire.
Gli investimenti nelle tecnologie pulite – spiega su Grist.org Sean Casten (amministratore delegato di una società che si occupa di cogenerazione e recupero energetico), commentando l’analisi uscita su Greentech Media – hanno diverse insidie: in primo luogo settori come quello energetico dipendono in maniera determinante da leggi e incentivi oltre che dalle soluzioni tecnologiche (“ci sono già tecnologie che sarebbero redditizie – spiega Casten – ma che non vengono portate avanti a causa dei sussidi alle fonti tradizionali”). C’è un altro punto debole dal punto di vista degli investitori: spesso lo sviluppo degli operatori in questo settore è legato alla realizzazione di infrastrutture, che per altri tipi di investimento, invece, non servono: ad esempio la smart grid elettrica in grado di accogliere l’energia delle rinnovabili o una rete di distribuzione per l’idrogeno; infine, nelle clean tech il mercato è vasto e diversificato ed è molto difficile accaparrarsi quote enormi come invece è accaduto nell’informatica o nelle biotecnologie.
Gli investimenti nelle clean tech insomma non faranno ricchi tutti automaticamente, anzi, molti vi rimetteranno. A differenza del boom delle “dot com” – spiega su Alternet.org Stephen Pizzo giornalista esperto nel fenomeno delle bolle speculative – molte delle aziende finanziate dai fondi verdi non ce la faranno ad arrivare in borsa. Probabilmente – spiega – la bolla del clean tech favorita dagli investimenti pubblici si gonfierà per meno di una decina di anni, dopo di che solo poche delle aziende nate sopravviveranno. Ma questa – conclude il giornalista – sarà una bolla dagli effetti positivi: oltre a guadagni per pochi e perdite per chi verrà travolto dallo scoppio, la bolla lascerà nuove tecnologie verdi create con i soldi sia del settore pubblico che degli speculatori. “Questi investimenti pagheranno un dividendo per i secoli a venire. Con un ritorno incalcolabile.
Finalmente avremo una bolla che lascia dietro di se più di ciò che consuma. Immaginate se avessimo avuto una bolla delle tecnologie verdi grande come quella immobiliare recente, immaginate cosa avrebbe lasciato per le nuove generazioni”. GM
Fonte: Qualenergia.it