Il sistema giudiziario italiano è agli ultimi posti del mondo per efficienza: secondo il rapporto “Doing Business 2009” l’Italia è al 156° posto su 181 paesi presi in consideraizone.
Si tratta di un aspetto di primaria importanza anche dal punto di vista economico, perché se non c’è una giustizia efficiente, in pratica manca la certezza del diritto, e quindi diventa difficile “fare affari” nel senso più generale. Il posizionamento dell’Italia è significativo, perché il parametro di riferimento per la classifica è il tempo necessario a “consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto “: un classico problema di business dunque.
Non è un caso che ai primi posti nella classifica dell’efficienza del sistema giudiziario siano in gran parte paesi che hanno prosperato dal punto di vista economico o come “capitali finanziarie”: l’accoppiata di testa Hong Kong e Lussemburgo è significativa. Anche il terzo posto dell’Islanda è significativo, per quanto oggi sia un paese in profonda crisi (ma per un indirizzamento politico strategico errato).
Ed è difficile non collegare la posizione dell’Italia anche alla pessima produttività del nostro Paese, secondo i dati OCSE, anche perché è verosimile che a subire il maggior danno da contenziosi che si trascinano per tempi geologici, siano proprio le aziende più piccole e più giovani (che solitamente sono anche le più innovative), che hanno minori risorse per affrontare problemi di questo tipo. Senza contare il fatto che le imprese estere, soprattutto quelle non enormi, ci pensano “un po’ di più” prima di portare parte del loro business in Italia.
Il problema è che in Italia sembra mancare completamente una “cultura della giustizia”, e quindi manca una spinta concreta dalla “società civile” e dalla politica per affrontare il problema. La cronaca di questi giorni è ricca di esempi in questo senso: lampante è il caso delle polemiche intorno alla vicenda degli stupri, che mancano completamente il nocciolo della questione poiché si confonde l’arresto ai fini di garantire la regolarità delle indagini con una “pena anticipata”, e si finisce con il chiedere (incentivati anche da molti politici che cavalcano l’onda) una condanna senza processo, anziché una condanna severa dopo un processo immediato, che non si perda in “cavillosità” burocratesi.
A questo si aggiunge che la complessità delle normative lascia spazio ad interpretazioni da parte dei giudici (tanto per evitare equivoci: è un problema della normativa, non una colpa dei giudici — almeno in generale): ed in questo senso torno a dire che è grave il semplice fatto che abbia inizio il processo contro Google con l’accusa di “non aver filtrato preventivamente i contenuti”, che descrive bene come anche il recepimento delle norme internazionali sia nel nostro paese soggetto a distorsioni che possono portare a conseguenze pericolose.
Insomma: sarebbe bene che il nostro Paese iniziasse a preoccuparsi dei “fondamentali” della giustizia, per evitare di ridurre tutto ad un insieme di norme scoordinate in cui il diritto di fatto svanisce, norme che magari hanno il solo scopo di fare da spauracchio, ma solo per chi, tendenzialmente, la legge la rispetta.
Fonte: Banknoise.com