I numeri dello Ius (Innovation Union Scoreboard) non inducono all’ottimismo: la Commissione Ue infatti non promuove l’Italia nel campo dell’innovazione e considera il nostro un Paese “moderatamente innovatore”.
Ci ritroviamo pertanto inseriti nel terzo gruppo (su quattro) di tale graduatoria continentale, accompagnati da Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Polonia, Malta, Portogallo e Spagna. La stessa Ue arranca -in termini di innovazione- rispetto a Giappone e Usa, pur mantenendo un certo vantaggio rispetto a economie emergenti quali quelle di India e Russia.
Il commissario Ue all’Industria, Antonio Tajani, ha sottolineato che l’innovazione “è essenziale per un’economia moderna di successo come l’acqua lo è per la vita” ed è realisticamente “la chiave per vincere la sfida della globalizzazione“. Ennio Lucarelli, vicepresidente vicario di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, ha poi precisato che tale problematica italiana “trova un’importante causa nelle mancate liberalizzazioni e nella carenza di una politica per stimolare la concorrenza e la competitività nel settore dei servizi innovativi, ovvero dei Knowledge Intensive Service, fattori sostanziali per incrementare i processi d’innovazione e l’attrattività del paese”.
Qualche spiraglio di luce si può comunque intravedere: l’Italia rivela una certa forza nei propri brand, nel capitolo-comunità scientifica vanta una crescita di nuovi laureati superiore alla media Ue e -sebbene in ritardo rispetto alla media Ue in svariati indicatori- nel 2010 manifesta una lieve ripresa nella maggioranza di essi, risalendo dunque di tre posizioni (sedicesimo posto, alle spalle del Portogallo). Il progresso è rimarcato da Tajani, il quale comunque chiarisce che questo passo in avanti è “uno sforzo che ancora non basta”. Molto del nostro futuro si gioca quindi sul terreno dell’innovazione, che ormai -asserisce Maire Geoghegan-Quinn, Commissaria per la Ricerca, l’innovazione e la scienza- è “il principale strumento di creazione di posti di lavoro“.