La prospettiva per l’anno in corso è di un risparmio energetico forzato, indotto più dalla crisi economica che non dai comportamenti virtuosi. Negli Stati Uniti l’Eia (Energy information administration) ha previsto che nel 2009 la domanda di petrolio non crescerà. In Italia i dati dello scorso novembre hanno registrato una flessione dei consumi elettrici del 6,3% con un picco negativo del 9,5% nelle aree più industrializzate. Risparmiare per un Paese che, come il nostro, importa l’85% delle fonti primarie è un obiettivo irrinunciabile.
Il piano dell’Italia, presentato a settembre 2007, prevede per il 2016 un taglio del 9,6% dei consumi, corrispondente a 11 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio), che si tradurrà in un risparmio annuo di 5 miliardi di euro.
Ma a che punto siamo? Un bilancio della situazione è stato offerto da un workshop, organizzato dalla società di consulenza Idc.«Dal punto di vista degli strumenti – ha sottolineato Dario Di Santo, direttore del Fire (Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia) – l’Italia è dotata di un buon quadro di sostegno: dalle detrazioni fiscali introdotte nel 2007 al conto energia per il fotovoltaico; dai certificati verdi e bianchi a Industria 2015, fino ai programmi di ricerca per il settore elettrico. In particolare, è risultata positiva l’esperienza dei certificati bianchi con risparmi realizzati superiori agli obiettivi assegnati per il triennio 2005-2007: oltre 2 milioni di tep rispetto agli 1,1 milioni assegnati».
Occorre però uscire dalla fase delle “lampadine”, al primo posto dei risparmi del settore civile, a sua volta responsabile del 59% delle tep risparmiate negli usi elettrici. Rimane infatti insufficiente il contributo dell’industria che, pur incidendo per il 45% sul totale dei consumi elettrici, a livello di risparmio non è andata oltre il 6%, usi termici compresi. «Se le aziende – commenta Di Santo – continuano a lamentarsi per i prezzi dell’energia, poco o nulla hanno fatto perché i fornitori propongano apparecchiature ad alta efficienza. Né hanno sfruttato le detrazioni fiscali per i motori elettrici, che rappresentano spesso la prima voce di costo. Un grande assente è anche il sistema bancario che dovrebbe migliorare la propria offerta per gli interventi di efficienza».Una radiografia del settore sostanzialmente poco “green”. «Gli esempi di eccellenza – spiega Roberta Bigliani di Idc – non mancano, ma sono pochi e legati all’iniziativa di singoli.
Questo malgrado gli investimenti per l’efficienza abbiano di solito ritorni entro i tre anni. I motivi, che si intrecciano, sono da una parte un’offerta non sempre qualificata da parte delle Esco (le società di consulenza energetica), dall’altra la mancanza di interlocutori. Gli energy manager, tranne nelle aziende obbligate e in alcuni grandi gruppi energivori, sono pochissimi e mancano del tutto non solo nelle Pmi, ma anche nelle medio-grandi ». Oltretutto anche tra i 2.070 soggetti nominati dalla normativa, non essendo applicate le sanzioni previste, non tutti hanno adempiuto all’obbligo di dotarsi dell’energy manager. A oggi sono disponibili solo i dati del settore pubblico, stimati dal Fire, che indicano una quota modesta di adempimento, tra il 10 e il 20 per cento.
Un progetto di risparmio ed efficienza energetica è stato lanciato dall’Eni di Paolo Scaroni più di un anno fa con l’obiettivo di permettere un risparmio del 30% sull’attuale bolletta energetica di ogni famiglia
Fonte: Ilsole24ore.com