Assomiglia a Facebook, ma, allo stesso tempo, non c’entra nulla. «Meet the boss» è il social network degli executive della finanza. Con la crisi è diventato un punto di riferimento: gli iscritti sono ormai trentamila. Possono creare la propria pagina, chattare, parlare in videoconferenza con webcam grazie al voip e sfruttare le altre funzioni collaborative tipiche del web 2.0. Cercano un confronto con gli altri manager su finanza, strategie e business. A differenza di Facebook, e di altri social network professionali come Linkedin, non è aperto a tutti: delle 100 richieste che arrivano al sito ogni giorno ne vengono rispedite al mittente 66. Meet the boss è nato nel 2007 su un’idea della Gps International di Bristol, società che cura pubblicazioni business-to-business. Il fondatore Spencer Green, in un articolo pubblicato dal «Sole 24 Ore» martedì 3 febbraio, ha spiegato che 16mila manager iscritti sono europei, e circa 600 italiani.
Il ritardo italiano nel business 2.0. «Lo sto ancora valutando, ma da quanto ho visto lo ritengo uno strumento di community molto interessante soprattutto per il confronto con manager stranieri» spiega al Sole24ore.com il chief operating officer di una delle principali banche italiane, abituato ad un uso molto spinto delle opportunità che il Web 2.0 offre anche per l’organizzazione aziendale. In Italia, però, persiste una cultura ostile: «Le aziende sono molto gelose delle proprie attività e iniziative, e gli executive non sempre sono avvezzi ad utilizzare questi strumenti “social”, per cui temo che sarebbe poco frequentato». Il ritardo, in realtà, è diffuso su più livelli. I dipendenti sperimentano una doppia vita: una grande libertà e disponibilità di servizi sul pc di casa e un giardino recintato su quello aziendale. E’ così? «Sicuramente sull’introduzione di questi strumenti c’è un ritardo nelle aziende, ma deve anche considerare che vi sono anche dei vincoli interni che non dipendono dalla volontà di utilizzare o meno questi strumenti, ad esempio la compatibilità architetturale, il supporto tecnico, il livello di sicurezza, eccetera». Eppure «è possibile coniugare le esigenze aziendali con la libertà offerta da questi strumenti a casa, infatti stiamo sperimentando le versioni “aziendalizzate” di social network, virtual desktop, mondi virtuali 3D e altro ancora. Una sfida interessante, ma secondo me essenziale per cogliere tutte le opportunità che questi strumenti posso offrire come vantaggio competitivo».
La conoscenza diffusa è un patrimonio aziendale. Il manager, che usa fare le riunioni con i propri collaboratori in stile «Second Life», in comunità virtuali popolate da avatar, ritiene che «la conoscenza diffusa è un patrimonio aziendale enorme e se troviamo gli strumenti per potere raccogliere, condividere e arricchire questa conoscenza allora riusciamo a capitalizzare questo patrimonio. Immagini cosa vuole dire potere mettere a disposizione di migliaia di colleghi in filiale una base di conoscenza creata da loro stessi con i consigli, i suggerimenti, le best practices per lavorare meglio e dare un servizio più efficace al cliente…». Nella sua attività di chief operating officer ha «analizzato le dinamiche dei social network più diffusi per valutarne l’applicabilità all’interno dell’azienda, dato che l’expertise location e il knowledge sharing diventano un fattore vincente per grandi aziende soprattutto a seguito di operazioni di M&A». In «un momento come questo, la facilità di fruizione dell’informazione diventa un elemento strategico per l’azienda». Il crede che il social computing interno ed esterno possa essere strategico. «Abbiamo attivato recentemente tre iniziative di raccolta di idee bottom-up, chiedendo ai colleghi dei suggerimenti su processi, procedure, applicazioni da migliorare, modificare e ottimizzare. La risposta è stata veramente notevole e ha portato all’attivazione di diverse iniziative di efficentamento e semplificazione, con ritorni, anche economici, decisamente interessanti». Per quanto riguarda l’esterno, invece, «abbiamo attivato alcune iniziative con nostri clienti corporate in cui, a fianco degli strumenti finanziari operativi, abbiamo attivato piattaforme di web collaboration che semplificano di molto lo scambio di informazioni, documenti, comunicazioni».
Fonte: Ilsole24ore