Secondo il decreto anticrisi la modalità di determinazione del prezzo dell’energia elettrica potrebbe non favorire affatto una sua riduzione e rendere anche più difficile l’ingresso di nuovi e più piccoli competitori. Un commento di GB Zorzoli.
Nell’Europa continentale la formazione dei prezzi dell’energia elettrica in Borsa si basa dovunque sul meccanismo del marginal price. Le offerte di acquisto vengono ordinate per prezzo decrescente, costruendo la curva dell’offerta, e le offerte di vendita per prezzo crescente, costruendo la curva della domanda.
Il prezzo di equilibrio rappresenta il prezzo dell’energia elettrica sul mercato del giorno prima, che viene applicato a tutte le offerte.
Fin dalla sua prima applicazione in Inghilterra questo meccanismo non fu esente da critiche, in quanto facilita accordi di cartello. Esso trova infatti piena giustificazione solo nella fase iniziale di apertura di un mercato elettrico, in quanto serve a incentivare l’ingresso di nuovi competitori.
Costoro, producendo l’energia elettrica da impianti appena realizzati, che si suppone più efficienti della media del parco esistente, dovrebbero essere in grado di offrire l’energia a prezzi relativamente bassi, così da rientrare più facilmente nella fascia delle offerte accettate, lucrando in tal modo la differenza fra il più elevato prezzo marginale e il proprio costo di produzione.
In effetti il funzionamento di questo meccanismo è risultato spesso insoddisfacente, con transazioni influenzate talvolta da accordi di cartello e comunque dalle condizioni economiche definite nei contratti bilaterali di acquisto dell’energia (Power Purchasing Agreements – PPA) stipulati al di fuori della Borsa.
Nel 2001 in Inghilterra è stato sostituito dai New Electricity Trade Arrangements (NETA), che coprono praticamente tutte le transazioni e sostituiscono al meccanismo del marginal price quello tradizionale di mercato, per cui il prezzo viene sostanzialmente determinato dall’incrocio fra la singola domanda e la singola offerta (pay as bid). Malgrado sia stato preceduto da studi accurati e da un ampio e approfondito confronto pubblico, sul buon funzionamento di NETA, in particolare sull’effettiva maggiore protezione in termini di prezzi per i consumatori, i giudizi permangono contrastanti.
Stupisce, quindi, che inopinatamente nell’articolo 3 del decreto anticrisi sia stata introdotta la versione all’italiana del pay as bid. Nel testo, più volte rimaneggiato, approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato, l’articolo 3, comma 10, punto a, recita infatti:
«il prezzo dell’energia è determinato, al termine del processo di adeguamento disciplinato dalle lettere da b) a e), in base ai diversi prezzi di vendita offerti sul mercato, in modo vincolante, da ciascuna azienda e accettati dal Gestore del mercato elettrico, con precedenza per le forniture offerte ai prezzi più bassi fino al completo soddisfacimento della domanda».
Poiché in particolare il punto b prevede di sostituire l’attuale mercato di aggiustamento (delle offerte di acquisto e vendita formulate il giorno prima) con un mercato infragiornaliero dell’energia e il punto d la riforma dei servizi di dispacciamento, due innovazioni di non poco conto, la pratica attuazione del pay as bid è quindi rinviata a una data per ora imprecisabile, il che costituisce comunque una variante prudenziale rispetto all’iniziale mandato di realizzarlo entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge.
In tal modo dovrebbe esserci abbastanza tempo per rivedere una scelta che ho definito “all’italiana” non soltanto per l’anomalia di una riforma così delicata introdotta a freddo, senza un adeguato dibattito che tenesse in particolare conto dell’esperienza inglese. Mentre oltre Manica la singola offerta è relativa all’energia resa disponibile da un determinato impianto e si incrocia con una singola domanda, viceversa dalla formulazione del decreto anticrisi si può dedurre che ogni società formula un prezzo di vendita e la media ponderata di quelli che concorrono a soddisfare la domanda determina il prezzo medio di vendita. “Si può”, perché il testo, non chiarissimo, si presta anche ad altre interpretazioni.
Ora, poiché secondo i dati ufficiali dell’Autorità per l’energia nel 2007 i cinque principali raggruppamenti* italiani hanno prodotto quasi l’80% dell’energia elettrica, secondo molti osservatori il meccanismo prescelto difficilmente porterà a riduzioni nei prezzi, anzi, dovrebbe rendere più difficile e rischioso l’ingresso di nuovi e necessariamente più piccoli competitori.
Siamo di fronte all’ennesimo cambiare qualcosa perché tutto resti immutato?
G.B. Zorzoli
Fonte: Qualenergia.it