L’Italia è un paese povero di materie prime e ancor di più di risorse energetiche, almeno nel senso classico del termine: fonti fossili ed energia nucleare. Se volesse potrebbe invece ritenersi un paese assai ricco di fonti rinnovabili: sole e vento, geotermia e biomasse, ma non sembra voler sfruttare questi giacimenti naturali.
La corsa è invece a cercare di mantenere più o meno stabile l’attuale mix di approvvigionamenti energetici, rilanciando l’opzione nucleare da una parte e posizionandosi a livello internazionale per aumentare le quote di gas a disposizione e per confermare il ruolo di paese raffinatore nel bacino del Mediterraneo. Tutto questo non tanto in risposta ad una strategia di politica energetica nazionale quanto in ossequio ad una politica di espansione delle principali major energetiche che operano nel nostro paese. Il recente richiamo fatto dal presidente dell’Autorità per l’energia e il gas sulla mancata liberalizzazione delle reti per il gas, di cui rimane fermo monopolista l’Eni, e la risposta data dal governo a tale proposito, si può infatti leggere in questa direzione.
Una posizione che dalle pagine del Corriere della Sera, Massimo Mucchetti, definisce bipartisan, dal momento che sia l’attuale governo, sia il precedente che hanno legiferato in materia, non hanno poi in realtà dato seguito alle norme prorogandone i termini. “Il principio della terzietà delle reti di trasporto dell´elettricità e del gas – scrive Mucchetti – risale al decreto Letta del maggio 2000 e la cessione di Snam Rete Gas, secondo a legge Marzano dell´agosto 2004, avrebbe dovuto realizzarsi entro giugno 2007. L´idea liberalizzatrice è dunque bipartigiana. Ma bipartigiani sono anche i rinvii: il governo Berlusconi rimanda l´operazione a fine 2008 e il governo Prodi ne fissa il termine entro 24 mesi dall´entrata in vigore del decreto di attuazione che, a tutt´oggi, non è stato emanato né mai lo sarà, in ossequio alle richieste dell´Eni, renitente a cedere le infrastrutture, tubi e stoccaggi, che proteggono la sua posizione dominante nel settore del gas“. Una posizione resa ancora più stabile dagli accordi con Russia, Algeria, Libia e rafforzata dal fatto che in pochi mesi sono stati firmati diversi decreti per il rilascio della Via a rigassificatori che permetteranno l’arrivo di gas liquefatto e quindi di ulteriore disponibilità di questo combustibile, che come si apprende dal recente rapporto statistico di Terna serve a produrre già attualmente più del 65% di energia elettrica.
Una strategia per la fase di transizione verso un futuro a minore impatto di carbonio? No, naturalmente, perché non c’è un numero programmato di rigassificatori da realizzare ma si lascia al mercato stabilire quanti ne riusciranno a mettere in cantiere e perché a questa “strategia” si associa appunto la conversione a carbone di centrali a olio combustibile e una ipotizzata costruzione di almeno 12 centrali nucleari di qui al 2050. Non certo per rispondere alle richieste di fabbisogno futuro, che in assenza di un Piano Energetico Nazionale non sono note, ma solo ipotizzate, bensì per permettere appunto alle principali aziende che detengono il monopolio energetico di porsi a livello di competitori nel mercato elettrico: fatto ne è che nel 2008 si è registrato un saldo positivo dell’energia esportata verso altri paesi pari ad un +28,3%. Una strategia che forse farà guadagnare alle aziende del nostro paese accordi commerciali e competitività e che dal momento che per quanto riguarda Eni, il ministero del Tesoro è ancora uno dei principali azionisti, potrà avere ritorni anche per le casse dello Stato, ma che in termini di sostenibilità, lungimiranza e di impegni per un futuro a basso impatto di carbonio lascia del tutto a desiderare.
Fonte: Greenreport.it