Soltanto in Svezia ce ne sono oltre novantamila. Per non parlare del Canada, e di cantoni svizzeri dove quasi una villetta su cinque si è dotata di un impianto a pompa di calore geotermica. In pratica si tratta di sistemi di climatizzazione concettualmente semplici, e provati da decenni: un circuito di fluido (anche semplice acqua) si affonda nel terreno, e la pompa di calore (un frigorifero bidirezionale) vi trasferisce il caldo estivo e lo preleva in inverno. Bastano pochi gradi di differenza tra la temperatura ambiente e quella che viene dai tubi del geoscambio e la pompa di calore è in grado di moltiplicarla per tre o persino per sette, per ogni unità elettrica necessaria al suo funzionamento.
Pannelli radianti nella casa, d’inverno arriva acqua a 30 gradi, d’estate anche a 15. Per un’edificio a involucro ben isolato i risparmi possono raggiungere il 40-50% sulle bollette tradizionali. Con circa 15mila euro di investimento, una pompa di calore e due pozzi con sonde di geoscambio (in pratica tubi di polietilene a U affondati per un centinaio di metri) una casa di 300 metri quadri può essere climatizzata da questa tecnologia in gran parte rinnovabile. E ben lo sanno non solo in Svizzera, ma anche a Bolzano e nel Trentino, battistrada italiano di questo mercato emergente. Chi ha un campo antistante libero (e una casa adatta da ristrutturare) può persino valersi della detrazione fiscale del 55 per cento.
«L’Italia però sconta un pesante ritardo nelle pompe di calore geotermiche – osserva Sergio Chiesa del Cnr, autore di un recente studio per il Cesi Ricerca – che rappresentano solo l’8% della geotermia italiana. Eppure, oggi, questo è oggi, su scala mondiale, uno dei settori più dinamici nelle rinnovabili». «L’attenzione finora si è concentrata sull’elettrico rinnovabile – spiega Gianni Silvestrini, presidente del Kyoto Club – ma sul termico dobbiamo andare a quattro o cinque volte quello che c’è ora. E le pompe di calore geotermiche potranno dare un contributo di prim’ordine».
Eppure qualcosa comincia a muoversi, e non solo sulla piccola scala residenziale. Battistrada, ormai da due anni, è Ikea, prima con l’impianto di geoscambio di Corsico (304 sonde) e oggi con quello di Parma (213 sonde), considerato il maggiore d’Europa. Davanti al centro commerciale parmense, quello che è oggi un cantiere pieno di tubi e piccoli pozzi cementati diverrà domani un parcheggio per i visitatori. Un serbatoio di energia termica, invisibile e sotterraneo. «Un accumulatore, d’estate sottraiamo il calore dagli ambienti e lo mettiamo nel terreno e per l’inverno facciamo l’inverso – spiega Luca Tirillò, della GroundHeat Systems, –: i tubi in polietilene portano semplice acqua. Le trivellazioni sono state fatte in sicurezza, con camicia cilindrica d’acciaio e cemento speciale. Il rischio, infatti, è quello di alterare l’equilibrio delle falde idriche sotterranee».
La costruzione di un campo di geoscambio, infatti, non è un’attività banale. «A Corsico ci trovammo di fronte a una prima falda idrica altamente inquinata – spiega Sergio Giuseppini, progettista degli impianti geotermici Ikea – se non avessimo trivellato in sicurezza avremmo corso il rischio di metterla in comunicazione con le falde più profonde e pulite. Un disastro, e l’amministrazione locale non ci avrebbe mai dato il permesso».
Ora però Corsico funziona. Come Parma è costato oltre 2 milioni di euro, ma ha un obiettivo di risparmio energetico del 56% (pari a circa 200mila euro/anno) e quindi un tempo di ritorno di una decina d’anni. «Finora, dai dati della stagione estiva – dice Giuseppini – Corsico sta confermando le attese, con punte leggermente superiori». E poi, per l’Ikea, sarà la volta dei centri commerciali di Torino e Rimini, «dove metteremo pompe di calore ad efficienza ancora più elevata, dato che la tecnologia si sta muovendo molto velocemente».
Il dato nuovo, però, è che simili impianti, di taglia medio grande, «cominciano a interessare direttamente i costruttori edili – osserva Tirillò – e per un motivo preciso. Un complesso residenziale a basse emissioni passa in categoria A, e può valere anche 500 euro in più per metro quadro. Un impianto di geoscambio centrale invece aggiunge, su ampie dimensioni, poche decine di euro in più di costi unitari».
È quanto si sta avviando in almeno due progetti: a Roma e nel Canavese. «Noi cominceremo ad aprile, su un lotto di 92 ettari a Roma Nord-Ovest, di cui 45 destinati a parco – spiega Barbara Mezzaroma, a.d. di Mezzaroma Energia, del gruppo Impreme – con un primo lotto di mille appartamenti, tutti serviti da un campo di geoscambio (circa 200 geosonde) e un sistema di pompe di calore per almeno un terzo della climatizzazione, e un 40% con caldaie a biomasse, più minieolico».
Altrettanto alla “Ninsola” a San Francesco al campo. «Cinque ville – spiega Giovanni Miccoli di G.V Edilizia – ad alto isolamento termico e pannelli radianti con un parco di geoscambio centrale a 22 sonde, acqua a 22 gradi d’estate e acqua calda sanitaria direttamente prodotta dalla pompa di calore». Barbara Mezzaroma è un’entusiasta dell’edilizia a emissioni zero – «Molti concorrenti ci dicevano che perdevamo tempo quando partimmo con il nostro primo progetto casa Kyoto» –, ma oggi fa anche una previsione economica precisa: «Ogni nostro appartamento a emissioni zero può significare anche 900 euro in meno all’anno, una rata di mutuo. E anche se, in classe A+, ci costano il 15% in più noi li venderemo allo stesso prezzo di oggi. In questo modo il cliente ci guadagnerà su base ventennale. Ci pare una buona proposta, per un mercato edilizio fermo come è quello di oggi».
Fonte: Ilsole24ore.com